Associazione Famiglia del Cuore Immacolato e di San Francesco

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Periodo di 

Postulandato

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Vita di povertà

«Senza nulla di proprio» (Regola, capitolo I) né in privato, né in comune; né affettivamente, né effet­tivamente; né internamente, né esterna­men­te.
La «vetta dell’altissima povertà» è la ca­ratteristica più specifica e vitale della vita re­li­giosa francescana. San Francesco d’Assisi è ­il Poverello per antonomasia. E noi, sue figlie, a sua imitazione, dobbiamo essere le te­sti­moni qualificate della povertà di Gesù e di sua Madre.
«Quale virtù – chiede il Santo Padre Paolo VI – deve principalmente distinguere la vo­stra vita religiosa? Risponde chiunque vi sappia francescani: la povertà, quella po­vertà che si trasforma in amore, che vuole imitare ed amare  Cristo povero, e che con­si­de­ra Iddio sola vera ricchezza dell’anima re­li­gio­sa».

E poco oltre, per il rinnovamento in atto, lo stesso Santo Padre raccomanda di rifarsi «all’autentica tradizione francescana nel­la sua amorosa e coraggiosa tendenza alla testuale osservanza della parola evange­li­ca», e di essere «poveri sia nello spirito di di­stacco sia nella realtà cruda della penuria e della sofferenza».


In poche parole potremmo così sinte­tizzare la nostra vita di povertà:
vivere come i veri poveri, contente dello stretto neces­sario, del puro indi­spen­sabi­le per sostentarsi e operare.

La povertà evangelica deve essere vissuta dalle suore anche nella sua concretezza visibile (nelle celle, nelle suppellettili, nel vestiario, negli strumenti da lavoro). Deve essere vissuta nell’insicurezza economica con l’esclusione di qualsiasi rendita fissa e di ciò che sia solo voluttuario (particolarmente il fumo). La vita di povertà va animata di fiducia illimitata nella divina Provvidenza e nella materna assistenza della Madonna, che non vengono mai meno.

Dove e quando?